“Il Margine della Notte” di Ferdinando Salamino

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La Trama

Michele Sabella si è lasciato alle spalle l’Italia, un padre ergastolano e un segreto di sangue. Tutto ciò che desidera è occasione per ricominciare e quella sonnolenta cittadina delle Midlands inglesi, con il suo dipartimento di polizia in cui nessuno indaga mai su nulla, sembra il luogo perfetto per dimenticare ed essere dimenticato. Quando però Paulina Szymbova, immigrata polacca con problemi di droga, viene trovata morta nel suo appartamento con un biglietto di addio nella mano, Michele si convince che l’apparente suicidio nasconda qualcosa di più di un semplice atto di disperazione. Contro il parere dei colleghi e dei superiori, intraprende un’indagine solitaria che lo condurra oltre le tranquille e rispettabili apparenze della città, nelle sue viscere colme di odio e violenza. Mentre nel ghetto di Merchant Court giovani immigrate continuano a scomparire e a morire, Michele è costretto a domandarsi, ancora una volta, quanto sia sottile la linea che lo separa dai mostri a cui dà la caccia.

L’intervista all’autore

  • Quando hai iniziato a scrivere?

Da bambino. Ho sempre avuto il pallino di leggere e, una volta finitit tutti i libri che avevo in casa, cominciare a scriverne di miei fu lo sviluppo naturale. Quando poi, per il mio nono compleanno, il mio vicino di casa mi regalò una macchina da scrivere Olivetti nuova fiammante, fu amore a prima vista. Credo che a mia madre sia venuto un esaurimento nervoso, a furia di sentirmi battere sui tasti.

  • Quanto tempo dedichi alla scrittura?


Quello che posso. Non vivo di quello e ho un lavoro che esige molte ore e molta concentrazione. Nei periodi scarichi, anche tre ore al giorno. In vacanza, quando non ho una sveglia al mattino, posso scrivere tutta la notte. Nei periodi densi, mezz’ora qui e quindici minuti lì.

  • Quanto ha influito il contesto sociale in cui sei cresciuto su quello di cui scrivi?


Molto, perché io sono un nomade di contesti. I miei genitori hanno vissuto da emigrati dal sud Italia in una Milano di piombo, spaccandosi la schiena e mangiando cipolle perché io potessi andare all’università e prendere la mia lode in psicologia. Ho avuto fidanzate ricche, amici senza un tetto.
Ho giocato a calcio con piccoli spacciatori, fatto a botte con i bulli del quartiere, ho girato l’Italia con la mia band, da Madonna di Campiglio alla Sardegna. Ho scritto saggi di psicologia e sono salito sul ring con gente che aveva la terza elementare e le mani come martelli.
La mia vita è un delta che si è sempre frammentato in molti rivoli, grandi e piccoli, e li faccio convergere nelle storie che racconto.

  • Quanto di te c’è in cui di cui scrivi?


Ti faccio una piccola confessione: quando uscì “Il Kamikaze di Cellophane” non ne regalai una copia a mia madre, perché temevo che ci vedesse riflessi di cose che avevamo vissuto. Beh, se la comprò da sola e passò le prime settimane a telefonarmi, turbata dal fatto che potesse essere un romanzo autobiografico. “Non tanto per me, quanto per tuo padre”, diceva.
Ci sono molti elementi della mia vita, nelle storie che scrivo, sparsi qua e là, nascosti tra le pagine. Una porta che chiude male, un compagno di classe con uno strano senso dell’umorismo, gli amori impossibili, quelli tossici… Però c’è anche tanta invenzione, tanta fantasia. Io ho bisogno della fantasia, e credo che ne abbiano bisogno anche i lettori.

  • Come vivi l’inizio, quando il tuo libro nasce, e la fine?


L’inizio di una storia è elettrizzante, un brivido galvanico. È una molecola di possibilità ancora inesplose, può andare ovunque e tu con lei. La fine è sollievo, ma anche malinconia, solitudine. Io poi faccio fatica a staccarmi dai personaggi che amo, quel mascalzone di Michele doveva scomparire alla fine del primo libro e invece vi saluta tronfio e fiero dall’alto della sua trilogia.

  • Quanto ami leggere? Genere e autore preferito? Quanto influiscono le tue letture sul tuo stile come autore?


Amo tantissimo leggere. Autore preferito? Credo di avere momenti preferiti di tanti autori. Il Dostoevskj di “Delitto e castigo”, Palanhiuk quando era davver Palanhiuk (“Soffocare”, soprattutto), il King de “L’Ombra dello Scorpione” e di “Misery”, il genio di Agatha Christie, i deliri lucidi di Poe (quello dei racconti, nel romanzo secondo me si perde), Kafka, Sartre, Fitzgerald, Margaret Atwood, Cotzee, Tim Parks… Potrei andare avanti all’infinito.
Tutti mi hanno dato qualcosa, ma non so se sono riuscito a prenderla.

  • 7 A chi hai fatto leggere per primo/a il tuo testo?


A mia moglie. Nessuno sa essere spietato quanto lei.

  • C’è qualcuno che vuoi ringraziare come sostegno della tua opera?


Da dove comincio? Ci sono persone che hanno creduto nella mia scrittura più di me, quando ero roso dai dubbi. Che mi hanno davvero sostenuto durante una prima esperienza editoriale non felice e che mi aveva insinuato dubbi sulle mie qualità. Dico un nome solo, che ne racchiude molti. Claudia Speggiorin rappresenta la fiducia che io non riuscivo ad avere.
Poi ci sono persone che hanno avuto ruoli decisivi nell’aiutarmi con le mie storie. I nomi li trovate nei romanzi.

  • Progetti per il futuro?


Ultimata la trilogia di Michele Sabella con il romanzo in uscita a Natale, comincerò a lavorare su una nuova storia. Al momento è un piccolo embrione di un nero profondo. Parlerà di disagio giovanile e terapie riparative.

La Recensione

Il margine della notte” ha un attacco intenso, essenziale, che lascia una sensazione dark. Emerge molto forte l’evocazione del mondo come ghetto, come posto viscido ed infido.

“Se veniamo chiamati in tempo, Kane pensa all’incendio e io evito che la fiammata di rientro incenerìsca la vittima.”

da “Il Margine della notte” di Ferdinando Salamino.

Da queste frasi emerge lo stile matematico, pratico e crudo dello scrittore. Matematico, sì, perchè il protagonista vive tutto come un susseguirsi di causa-effetto, ed è da questo che consegue la praticità delle sue riflessioni e la crudezza. Già nella citazione emerge forte la chiarezza di visione e la modalità in cui l’autore porterà in Zoom alcune scene più avanti. Ferdinando Salamino ha questo modo di scrivere che appare come un tiro alla fune con la mente del lettore. Ogni volta che apre una nuova ambientazione è abilissimo a distogliere l’attenzione dal riconoscimento del suo schema narrativo, e spesso lo fa con dettagli inaspettati ed eccentrici. Niente è lasciato al caso nel suo scritto. È per questo che ti cattura e lo leggi in un fiato. C’è detto tutto quel che ti serve ma neanche una virgola in più.

L’ambiente e la storia si compenetrano continuamente, incollati dal comune denominatore dello sguardo analitico e a volte spietato del protagonista. Ogni filone narrativo echeggia dell’altro, ed è il caso della storia d’amore che continua dal libro precedente dell’autore “Il Kamikaze di Cellophane “. Difatti nel parallelo tra la storia delle indagini e quella della vita personale di Michele Sabella troviamo lo stesso incedere, in un eco continuo tra i due filoni, che dà vita a una escalation del Pathos decisa, controllata e metodica.

Eccolo il mistero contenuto in questo libro, il centro delle indagini. E il libro inizia a serpeggiare in meandri oscuri e sanguigni, e accade che un killer che dà la caccia a un altro killer. Killer buono contro cattivo quindi? No. Direi ben altro, ma se ve lo dico, vi rovino il piacere di scoprire il libro.

“A Kane non posso dire tutto ciò, non potrebbe capire. La verità si può mettere in un corpo sano solo a dosaggi controllati. Mi limito ad alzare le spalle.”

Tutto il libro è disseminato da una forte capacità di dipingere la mente del personaggio mediante riflessioni mai scontate e dal fascino oscuro, sanguigno. Immaginate un pennello che resta senza colore, ma che percorre ancora un po’ il quadro. E il colore sfuma, ma percepisci anche chiaramente l’attrito tra le setole secche e la tela. La pennellata psicologica di Ferdinando Salamino è così, ruvida e sfumata insieme. Spesso, in frasi specifiche, l’ho trovato ad esitare sullo sfumato, sul grigio, sulla compenetrazione tra bene e male, in una danza di moventi e proiezioni personali. Coltre di normalità e segreti agghiaccianti sotto.

Lo stile dell’autore e accattivante. Riesce a distrarti con ragionamenti fuori dalla visione cui siamo avvezzi e contemporaneamente nasconde la porta socchiusa da cui potresti intravedere chi è il “nemico”. E voi, riuscirete a capire chi è il nemico prima della fine del libro? Avete ben due libri per provarci!

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Il Kamikaze di Cellophane

Il margine della notte

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