Intervista a Valerio Tagliaferri

Buongiornooooo writers, anche se è ferragosto, anzi, proprio perché è ferragosto, desidero parlarvi di chi sta allietando le mie giornate da quando mi ha chiesto di recensirlo e promuoverlo. A parte il libro che sto finendo di leggere, anche l’intervista che mi ha rilasciato mi ha fatto sorridere, ma non per umorismo, bensì perché penso che molti di noi si possano ritrovare nella sua visione «viva» dei personaggi.

Ma basta parlare della mia opinione, vi lascio con lui, con Valerio Tagliaferri.

L’intervista

  • Da quando hai iniziato a scrivere? Come è successo?

Posso ragionevolmente dire che ho iniziato a scrivere grazie alla lettura. In particolare ricordo un’estate, quella in cui casualmente è arrivato il Re. E’ Stephen King che fa esplodere la mia voglia incontrollabile di scrivere. E’ leggendo “It” e subito dopo “La zona morta” che comincio a fermare sulla carta i fatti e i personaggi che mi ronzano nella testa. E la stessa cosa accade con Giorgio Scerbanenco, anche lui incontrato fortuitamente su una bancarella estiva.

Inizio così a scrivere i miei primi veri racconti, che finiscono in un cassetto. Col passare del tempo, però, il cassetto diventa sempre più piccolo. I miei personaggi stipati là dentro si lamentano e mi accusano sempre più violentemente di vigliaccheria: non ho il coraggio di far nascere, vivere e morire un personaggio capace di essere il protagonista di una storia con un più ampio respiro come quello di un romanzo.

Dopo innumerevoli insulti, minacce e vessazioni, non riesco più a scappare e mi metto seduto davanti al computer per scrivere il mio primo romanzo. Così, finalmente, i personaggi dei miei racconti mi danno un po’ di tregua. Ma quelli nella mia testa mi impediscono di smettere…

  • Quanto tempo dedichi alla scrittura?


Tutto il tempo che posso, compatibilmente agli altri miei impegni quotidiani come la famiglia e il lavoro.

  • Quanto ha influito il contesto sociale in cui sei cresciuto, riguardo ciò di cui scrivi?

Moltissimo, visto che mi sento di scrivere soprattutto di cose che conosco e/o ho vissuto.

  • Quanto c’è di te in ciò che scrivi?

Tanto, ma me ne accorgo solo una volta finito di scrivere. Anche se i miei personaggi vivono in epoche diverse dalla mia, o fanno cose che io non farei mai, possiedono sempre delle mie sfumature. Ma la cosa, lo ripeto, è involontaria. Prima di scrivere delineo nella mia testa un personaggio, ma quando comincio a scrivere è lui che decide…

  • Come vivi l’inizio, quando il libro nasce, e la fine?

In nessun manuale l’ho letto, ma io lo faccio lo stesso: quasi sempre la prima cosa che mi viene in testa è il titolo. Mi serve a centrare storia e personaggi. Per quanto riguarda i gialli, invece, è la storia del protagonista che può essere vittima e/o carnefice. La fine è invece, come raccontato nella bio, è una vera e propria “liberazione”: dopo tanto tempo finalmente non mi sento più in colpa con i miei protagonisti che non sono più “sospesi”. Anche perché poi spesso nella mia testa ha già messo le prime radici il libro successivo.

  • Quanto ami leggere?


Davvero tanto, come scrivere. Anzi delle volte molto più di scrivere. L’influenza di tutto quello che leggo – in media un libro a settimana – su quello che scrivo è molta, ma non diretta: non è che se leggo King o Scerbanenco allora scrivo per forza un thriller o un noir. A volte, per esempio, mi sento di leggere qualcosa di molto divertente mentre scrivo un giallo.

  • A chi hai fatto leggere per primo il tuo testo?


A Francesca, la mia compagna di vita, senza la quale non avrei mai pubblicato nulla. Spesso poi le sue osservazioni mi indispettiscono, ma alla fine ha ragione lei, che come me ama tantissimo leggere.

  • Progetti per il futuro?


Sto scrivendo un nuovo romanzo che però non è della serie “L’inconsapevole Di Tuccio”. La protagonista ha avuto l’imperdonabile “colpa” di nascere donna…

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