“Orme” di Sabrina Corradini

Buongiorno ♥️ Oggi per Scrittori Uniti vi presento “Orme“, che è un romanzo che racconta di un viaggio. Date un’occhiata seguendo il link. Leggiamo emergenti!

Il libro

«Ci sono tanti morti nella mia vita e più morto di tutti è il ragazzo che io fui.» Inizia così il viaggio di Doris, un viaggio alla riscoperta di sé stessa, inseguendo il suo passato e le voci delle persone che più hanno segnato la sua vita. Dal rapporto tormentato con una madre difficile, Meri;all’amicizia intensa con Sara, un’amica andata via troppo presto, e con tutto uno scrigno di sogni da realizzare; al legame insoluto con Alessio. Un percorso accidentato e sofferto che, nel momento di arrendersi alla vita, la porterà a capire che alla fine la verità di ciò che siamo sta solo nelle orme. E in loro la rinascita.

L’Autrice

Sabrina Corradini (1980) è nata e vive a Verona. Fin da piccola l’amore per la lettura l’ha portata a creare mondi con racconti e personaggi che le facessero compagnia. Ama la storia, i classici e la poesia (in particolare quella di Pascoli, Emily Dickinson, Frost). E’ sempre stata affascinata dal mito di Shaharazad nelle “Mille e una notte”, e dal potere salvifico delle storie. Una citazione che ama particolarmente: “Tra le rovine chi decide raccontarsi e raccontare gli altri? Il deserto ci circonda, le dune sono ardenti.Ogni cosa muore di sete. Chi vuole le fiabe?Eppure, vi è qualcuno che dice, questa è la luna sopra i sottili merli delle mura, e noi, smarriti, siamo dimenticati nel mezzo della peste. Diamo grazie a Dio, e a Shaharazàd che ricomincia c’era una volta un Re …” “Orme” è il suo primo romanzo.

L’estratto

2.

Meri era bellissima. Adorava la musica e il ballo; e,prima di sposarsi, sognava una brillante carriera nel mondo dello spettacolo. Non a caso io mi chiamo Doris, come Doris Day, l’attrice preferita di Meri quand’era piccola. La mia nascita ha bruciato le sue speranze. Mi dico spesso che se fossi stata diversa, graziosa e allegra come tante altre bambine, se avessi ereditato il suo talento artistico, forse Meri mi avrebbe amata. L’avrei compensata di tante rinunce. Una scena mi si affaccia con prepotenza alla mente: sono a una recita di fine anno a scuola; nel mio sgargiante costume di scena bianco e rosa, spio da una fessura del tendone, dietro le quinte, il nutrito gruppo di genitori in platea, fra cui c’è lei, Meri, seduta nelle prime file. Trepido. Lo spettacolo inizia, le luci si accendono. Tocca a me … sento il suo sguardo. Sono emozionata a tal punto che dimentico buona parte delle battute. Ci tenevo tanto che per una volta Meri fosse orgogliosa di me … e invece fui solo capace di metterla in imbarazzo. Durante il viaggio di ritorno a casa non mi rivolse neppure la parola. Ho nella mente l’immagine ancora nitida di lei, in piedi accanto alla finestra, con una sigaretta tremolante fra le dita; fissa un punto impreciso dell’orizzonte al tramonto, sicuramente pensa alla sua vita, tanto difficile e angusta; alla continua mancanza di soldi; ai suoi sogni svaniti. Si volta verso di me, con gli occhi di fiamme mi dice brusca di andar via. Era sempre di cattivo umore, sempre irrequieta. Nulla sapeva renderla felice. Un giorno, approfittando della sua assenza, salii su una sedia e presi una scatola a grandi fiori blu che teneva sull’armadio. Conteneva vecchi trafiletti di giornale custoditi gelosamente e decine di fotografie di quand’era ragazza, ai suoi esordi nello spettacolo;. Meri appariva splendida in quegli scatti. Le labbra vermiglie, dischiuse in un sorriso felice; i capelli arricciati, che affioravano dall’ampio cappello di paglia ornato di fiori; l’abito di leggera stoffa bianca. Lo sguardo luminoso, bello, come non l’avevo mai visto. Se cerco nei meandri della memoria quell’espressione viva nei suoi occhi la trovo solo per un attimo fugace nel tempo vissuto con lei: e fu quando un pomeriggio, che era insolitamente allegra, venne a distrarmi dai compiti che stavo facendo, e mise su un disco e ballammo e cantammo insieme per la tutta la cucina a ritmo di jazz … i lunghi capelli biondi che le ricoprivano sfilati il viso, sfiorando i miei, le mani delicate che mi stringevano … Un, due tre … un, due, tre … mi insegna i passi, volteggia su stessa. Purtroppo quei barlumi di cielo furono sempre rarissimi. Vorrei che fossero di più per potermici aggrappare. La scena cambia. Il mutismo le sere a tavola, rotto dalle grida di Paolo e Meri che risuonavano a notte fonda,oltrepassando le pareti sottili della nostra cameretta. Io e Luca ci svegliavamo e, pieni di paura, nascondevamo la testa sotto il cuscino fin quasi a soffocare pur di non sentire le grida, le accuse feroci che si scagliavano l’uno con l’altro. Aspettavamo turbati nella speranza che finisse la notte. E tornasse il giorno. Infine l’ultimo litigio: un rumore di vetri infranti; passi rabbiosi, lo sbattere di una porta che si chiuse per non riaprirsi più, il rombo di una macchina sulla strada che si perdeva in lontananza. Pian piano attraversai il corridoio stretto e buio e raggiunsi la cucina. Esitai. Socchiusi la porta. Lei sedeva in vestaglia al tavolo, al buio; la sigaretta fra le dita. Fu un impressione terribile. “ Doris, torna a letto.” “Mamma, cosa è successo?” Silenzio. Il cuore mi batteva forte. Ebbi paura. “Papà dov’è?”riuscii a chiedere con fatica. “Se ne è andato.” “E’partito di nuovo?” Feci qualche passo in avanti. Il cric di un vetro sotto i miei piedi.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *