“Ciò che l’amore non dice” di India Solari.

Iniziativa “Scrittori Uniti”

Con grande piacere continuo a sostenere questa iniziativa fortemente voluta dagli scrittori e per gli scrittori. Stavolta vi presento un libro di narrativa, che desidera essere un viaggio non solo all’interno della vita di questi personaggi, ma anche rivolto al lettore stesso, affinché possa riflettere sui temi proposti dall’autrice.

L’autrice

Mi chiamo India e sono una ragazza di 19 anni. Vivo in una piccola casa al centro di Livorno e sono appassionata di scrittura creativa da piccola. Ho iniziato esercitandomi a descrivere quello che vedevo intorno a me e ciò che sentivo dentro; all’inizio è stato difficile, ma sono cresciuta e la mia penna è cresciuta con me. Quasi un anno fa ho pubblicato il mio primo libro, una raccolta di storie brevi d’amore che tenta di scavare a fondo nei lati oscuri dei sentimenti e della psiche dei personaggi (nel mio caso adolescenti o giovani adulti). I temi trattati sono molto delicati, i più importanti sono la differenza tra sogno e realtà, la morte, il senso dell’abbandono e i disturbi mentali. È una lettura piuttosto breve (sono 150 pagine edizione tascabile), ma molto impegnativa: ho provato a trasmettere al lettore il concetto di riflessione e introspezione per poter evolvere insieme alle vicende e ai protagonisti.

L’incipit

Flower Burch

Mi vengono in mente tante cose quando leggo questo nome. Campi di margherite candide sotto il sole cocente d’estate, il lieve rumore delle pagine di un libro mai sfogliato; la consapevolezza di dover sempre essere ciò che gli altri non sono. Flower Burch non era come gli altri. Era un piccolo tulipano in mezzo a una distesa di girasoli. Impossibile da vedere. Ma se qualcuno fosse riuscito a guardare oltre, avrebbe potuto scorgerlo proprio lì, al centro. Era un fiore così bello. Eppure, tentava in tutti i modi di nascondersi: Flower Burch non amava farsi notare. Indossava sempre quel sorriso di circostanza di chi, in mezzo alla gente, non sapeva come intrattenere una normale conversazione. Ogni mattina rivestiva la sua pelle bianca di incertezze e con un maglione largo le ricopriva, così che nessuno potesse vederle. Amava rimanere nell’ombra, nel ricordo delle impronte calpestate da altri per non mostrare le sue; preferiva non uscire troppo da quell’universo che si era costruita con cura e devozione, in cui si era persa senza che nessuno se ne accorgesse. Volava con la mente, Flower Burch. I suoi occhi grigi aprivano porte molto più colorate, cadevano su soggetti molto più interessanti. Era affascinante guardarla assottigliare le lunghe ciglia rossastre, e assentarsi. Un po’ come guardare un quadro di Picasso, bizzarro e confuso. Però la riconoscevi ovunque: era l’unica persona con lo sguardo rivolto sempre verso l’alto. Parlava spesso di stelle, parlava spesso di pianeti. Di come il sistema avesse imposto un limite quando in realtà un limite non c’era. Non c’era un limite. Non per lei. Se chiudo un attimo gli occhi ho ancora impressa la sua chioma rossa, che a dirla tutta non era proprio rossa, ma arancione. Flower Burch aveva i capelli color tramonto. A molte persone però non piacevano: li trovavano ridicoli, troppo accesi. Stonavano con l’ambiente tutt’intorno, grigio e monotono. Portava sempre quel cappello blu di stoffa per coprirli, così da omologarsi negli sguardi spenti degli altri. Ma non bastava. Non bastava un cappello; non bastava una felpa, né un passo furtivo. Non bastava. Vi chiederete perché vi stia dicendo tutto questo. Perché Flower Burch era diversa. E, se volete, vi racconterò la sua storia. Non vi prometto niente: né risate armoniche, né pianti agonizzanti. E nemmeno due occhi per fissare il soffitto. Quello che so, però, è che io la conoscevo bene, Flower Burch. Quello che so, è che il mio ricordo di lei vi potrà strappare almeno un sorriso, e forse, anche una piccola lacrima. Non vi resta che leggere.India Solariprofilo Instagram @piccolo_sole_scrive

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Ciò che l’amore non dice

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