“Io, Omega” di Lara D’Amore

Questa è una storia di forza, amicizia e amore.Una storia che si legge tutto ad un fiato. Un romance M/M Omegaverse che parla di razzismo e violenze scatenando nel lettore sentimenti contrastanti, che lo porteranno a riflettere su un tema tanto delicato quanto attuale: la diversità.

Il libro

Titolo: “Io, Omega

Autoconclusivo: Sì

Editore: Self Publishing, con AmazonAutrice: Lara D’Amore

Data di pubblicazione: 15 dicembre

Lunghezza: 373 pagine

Genere: MXM / OMEGAVERSE

Link Shop: “Io, Omega

La Trama

In un mondo dove l’infertilità è un problema così grave da mettere in pericolo la sopravvivenza della società umana, gli uomini e le donne di genere omega sono prigionieri del proprio corpo, obbligati da tasse e leggi a legarsi a un compagno quanto prima e a procreare. Delle proprietà, degli oggetti. È così che si sente l’omega David Satter, costretto molto presto a fare i conti con quelli che sono i tratti distintivi della propria natura. Ragazzo padre e single per sua volontà, per restare indipendente può contare solo sul proprio coraggio, sulla solidarietà di suo figlio Zack e il prezioso supporto di Roma, caro amico e collega di lavoro. Si arrangia come può, Dave, guardando sempre avanti e lasciando il passato alle spalle, con l’orgoglio di chi è abituato a ignorare il proprio cuore ferito. Ma quando il destino si metterà di traverso ci sarà poco da fare: dovrà essere pronto a dare ascolto a quella voce. E affrontare il suo passato, una volta per tutte.

L’Autrice

Francesca Deroma (pseudonimo Lara D’Amore) nasce a Torino, nel 1976. Sin da bambina ha sempre amato inventare mondi e personaggi trasformandoli in fumetti. Crescendo scopre la passione per la lettura del genere fantasy e all’amore per il disegno affianca presto quello per la scrittura. Dal 2012 si mette perciò in gioco in alcuni lavori amatoriali e gratuiti online ed è in questo periodo che prende corpo l’idea di “Varaldien”, l’opera epic fantasy a cui affida il suo debutto editoriale. Segue qualche mese dopo il libro “Io, Omega”, opera M/M omegaverse che vede la luce in self publishing.

L’incipit

«Spostati, per favore.» La voce di David è impastata, ma suona comunque severa mentre si rivolge a un giovane dai capelli biondi, sottile ed efebico, che per i suoi gusti invade un po’ troppo il proprio spazio vitale. Poco dopo, David si scontra con i suoi occhioni languidi, spicchi di cielo in cui volerebbero volentieri molti sguardi dei passeggeri del treno. Molto carino, deve ammetterlo. «Scusami.» Sembra cinguettare il biondino. Si scosta di un solo passo, l’aria birichina di chi sa il fatto suo. «Spero basti così.» No che a David non basta. Il vagone in cui viaggiano è un carnaio in cui si deve condividere una sgradita intimità e, di conseguenza, inala un calore che gli surriscalda il cervello e non lo aiuta a sopportare l’affollamento. Lo stesso ragazzino scotta e sembrerebbe esserne consapevole, da dietro quel sorrisetto malizioso. Se a una prima occhiata David l’ha considerato un tipo invadente, dopo una seconda, più accurata, capisce più cose di lui: pelle bianca e rovente, un profumo floreale che punge le narici e un collare di cuoio nero che spunta da sotto il bavero di un cappotto sciancrato. Perfetto! Adescato da un omega in calore o comunque prossimo al ciclo fertile. David sorride di rimando, divertito dalla situazione in cui si ritrova; non ha dubbi che il tipetto stia cercando di provocarlo, convinto di attrarlo con la dolcezza dei suoi feromoni. Di certo crede di sedurlo con facilità. Mi dispiace, piccolo, ma ci stai provando con il maschio sbagliato. Ed è vero. Alla vicinanza di un omega voglioso di accoppiarsi, David prova solo l’impulso di vomitare. Perché, a dispetto dell’aspetto prestante, lo sguardo rude accentuato dal taglio corto dei capelli mori e la lunga giacca di pelle nera, malgrado un’altezza fuori dal comune per il proprio genere che lo rende simile a un alpha quando alpha non è, David stesso è un omega e sarebbe anche tentato di dirglielo, al ragazzino, non fosse occupato a nascondersi ai sensi del resto dei viaggiatori. Si limita, perciò, a sorridergli mentre guadagna centimetri di distanza, quel tanto che gli è possibile per fargli comprendere che no, non è interessato. Messaggio che arriva al giovane omega in tutta la sua durezza e che, alla fine, lo porta a rinunciare. La metro ferma alla stazione di David che sgattaiola fuori con piacere. La scatola di ferraglia in cui si sentiva imprigionato riparte non appena posa entrambi i piedi sulla banchina. Si guarda intorno, nota con un certo sollievo che il biondino non l’ha seguito. Molto bene, si dice, incamminandosi tra la folla infreddolita dalla rigidità di questa serata di fine autunno. Sta fioccando appena e questo gli regala un po’ di allegria. Saccheggia l’ossigeno con avidità, con le mani che affondano nelle tasche del jeans alla ricerca di accendino e sigaretta: è il momento della sua solita boccata di nicotina post viaggio, quel particolare momento in cui aspira un po’ di quella rabbia che lo divora dentro tutti i giorni e la butta fuori, per darsi tregua. Dalla stazione David percorre un paio di isolati a passo svelto, nel mezzo di un fastidioso traffico umano, tra occhiatacce di disapprovazione che qualche passante rivolge al suo vestiario e altre, al contrario, compiacenti, magari nella speranza di un approccio. Imboccata una via interna meno popolata, avverte la suoneria del suo cellulare aprirsi un varco tra i rumori della città. Sbuffa un’ultima volta il fumo della sigaretta, getta il mozzicone dentro a un cestino dei rifiuti e infila la mano nel taschino interno della giacca, per recuperare il telefono. Dal display legge il nome di chi lo sta cercando e subito scuote il capo contrariato. «Che vuoi, Roma?» sbotta, rispondendo. «Oggi sono piuttosto stanco perciò vai al sodo, che già sono sicuro di dovere ascoltare una cazzata delle tue.» «Quanta acidità, amico!» si lagna l’altro. «Se tratti tutti così, col cazzo che troverai mai un compagno!» «E chi lo vuole un compagno?» «Qualsiasi omega con del sale in zucca!» Quella risposta spinge David a sputare il suo sdegno sul marciapiede. «Guarda che non tutti gli omega ragionano con l’uccello, sai?» lo rimprovera. «Non è che se nasci con tutto il kit necessario per procreare, devi farlo per forza! C’è chi persegue altri obiettivi nella vita, sai? Tipo un lavoro decente, o una cazzo di laurea. C’è chi vuole anche solo vivere in pace, alla pari dei beta e degli alpha. È giusto il mio caso!» «Lo so, lo so. L’ho detto solo per farti incazzare, coglione» ridacchia Roma. «Che poi, voglio vedere quale donna o uomo alpha si avvicinerebbe mai a un omega asociale di un metro e ottantacinque, tutto muscoli e incazzato!» David sospira, cercando di recuperare la calma. Si rende conto che l’amico è sincero e che in effetti non è mai stato un beta ottuso, uno di quelli che scheda le proprie conoscenze per genere. Era stata proprio questa sua elasticità mentale a renderglielo simpatico sin da subito e, col tempo, avevano stretto un legame ben più confidenziale di semplici colleghi di lavoro. Roma è il suo amico più caro e di cui si fida di più. E un amico, per un omega che pretende di essere qualcosa di più della merce sessuale per gli alpha o i beta, è davvero un tesoro prezioso. Finalmente David si rilassa e rilancia a tono: «Vorrei ben vedere, se ci provassero lo stesso: dopo tutti i soldi buttati negli anni in palestra e la fatica che faccio per comportarmi come un beta!» «Ah, Dave! Culo di ferro che non sei altro! Tranquillo che ci sei riuscito benissimo» sghignazza Roma. «Passi così bene per alpha che la cassiera del bar, ieri, è uscita con me solo per chiedermi il tuo numero di telefono!» Una risata forzata, qualche vaffanculo accennato. Giusto, David ricorda quanto Roma adori fare il drammatico. «È questa la cazzata del giorno che dovevi dirmi?» chiede David, fingendosi stizzito. «Perché in effetti piacere a Kate è una di quelle cazzate di cui non m’importa.» «Sì, è questa. Ringraziami, Bel Faccino: ti ho preparato per quando la rivedrai al ristorante, quella maledetta stronza doppiogiochista!» «Gentile da parte tua avvisarmi, ma sappi che dopo essere stato palpato da un omega in calore nel mezzo del vagone di un treno, proprio poco fa, credo di essere pronto ad affrontare le educate moine di una beta.» Dall’altra parte del telefono non ha alcuna risposta. Per un po’. Poi, l’esplosione di Roma in un ennesimo vaffanculo, questa volta urlato a pieni polmoni, per cui David scoppia a ridere di gusto. La risata lo contagia subito, tutto come al solito. Le loro chiacchierate vanno sempre a finire così, anche quelle dai toni più accesi. Riagganciano che ancora sghignazzano. Intanto, la neve fiocca sempre più fitta e, andando dritto per la sua strada, David si diverte a calciarla via con la punta degli anfibi. Una coppia di fidanzati lo supera per attraversare la strada. Ha percepito sui loro soprabiti una pungente acqua di colonia. In nessuno dei due ha avuto il sentore di quella nota dolciastra tipica degli omega, né di quella più aggressiva che avrebbe identificato un alpha, per cui ipotizza che entrambi siano beta. Coppia fortunata, a suo avviso, formatasi con il cuore e non per puro istinto animale come, purtroppo, accade il più delle volte tra gli alpha e gli omega. Coppia, però, appartenente a un genere in crisi di fertilità che, chissà ancora per quanto potrà camminare in pace alla luce del sole, mano nella mano. David è pessimista in proposito, consapevole che i venti del cambiamento continuano a chiedere sempre più sacrifici. Ecco, tanto per cambiare, sta di nuovo rimuginando sull’attuale sistema sociale. Sistema che ha smantellato di fatto l’uguaglianza inscatolando i cittadini in nuove caste. Sistema che David detesta, con tutto se stesso, macchina perversa che decide quello che sei. Sei un beta? Buon per te. Hai la libertà di fare le tue scelte, se non altro nessuna legge disporrà della tua vita. Sei un alpha? La società ti stende il tappeto rosso in qualsiasi campo professionale tu voglia debuttare. In cambio di una prole chiude persino un occhio: se vuoi prenderti un omega come compagno puoi farlo anche senza il suo consenso. Sei un omega? Ci dispiace, questa comunità è in profonda crisi demografica perciò esige da te dei sacrifici. Devi donare il tuo corpo a qualcun altro e dargli quanti più figli possibile. Niente di meno che un’incubatrice, questo è il ruolo che ti compete. Usato come un oggetto, per ovviare alla sempre più preoccupante sterilità femminile del genere beta. Usato perché prezioso, troppo prezioso per lasciarlo libero di scegliere che fare della propria vita e, soprattutto, del proprio corpo. E in quanto omega, David lo sa bene e lo detesta. La sua è una continua lotta per la propria indipendenza, una sfida sempre più ardua, anno dopo anno, di fronte al fiorire di nuove leggi che spingono gli omega verso uno stile di vita mirato unicamente alla procreazione: dal costo esorbitante della pillola anticoncezionale, alla riduzione del reato di stupro a semplice pena pecuniaria, se ai danni di un omega. Ed ecco perché David, già schiacciato da tutta questa pressione sulle spalle, non mostra mai la fragilità del suo genere alla luce del sole. Se pensa a quanto ha dovuto faticare per plasmare il proprio fisico efebico, tipico degli omega, per irrobustirlo e renderlo simile a quello di un maschio alpha, avverte ancora tutti i dolori dei numerosi fallimenti. No, non è stato affatto facile per il ragazzino di allora, ma la vita l’ha presto messo alle strette, insegnandogli la determinazione necessaria per sfuggire alla legge che lo vorrebbe debole, succube di sbalzi emotivi e di una libido incontrollabile causata dal periodo di fertilità, per cui buono solo per essere ingravidato da un alpha o un beta fertile. Avendo il controllo sul proprio aspetto, invece, David ha escogitato una maniera per decidere di sé. Un successo, per sua fortuna, almeno finché la privacy resterà ancora un diritto. Il suo percorso non è stato facile e non lo è tuttora, ma seppure nelle sue difficoltà, ad oggi, può permettersi di vivere ancora come se fosse un beta qualunque. Questo gli consente di lavorare come magazziniere di una grossa catena di vestiario di giorno e come cameriere in un ristorante alla moda in centro nel fine settimana la sera. Si spacca la schiena, David, al pari di un beta e forse anche di più. Sgobba sodo, sette giorni su sette, paga tasse su tasse che penalizzano il suo già esiguo reddito e si mantiene comunque in modo dignitoso. Fatica, ma non soccombe al sistema, non cerca un partner, non intende barattare la libertà per nulla. Pochi soldi in tasca e tanta dignità a riempirgli il cuore: questo è il solo stile di vita che vuole per sé e che all’età di trentadue anni lo mantiene indipendente. Libero, più o meno. Poche conoscenze, pochi contatti quando necessari. Roma è un’eccezione alla sua solitudine, un punto fermo negli affetti. Un amico che, nonostante i modi grezzi e un certo magnetismo per i guai, finora non l’ha mai tradito. La neve scende più fitta adesso, David decide di fare una corsa per gli ultimi metri che lo separano dal portone di casa. Questa sera l’edificio in cui abita, con la sua facciata in mattoni a vista e le finestre con le persiane marce, appare più lugubre e antico che mai. Evita l’ascensore per allenare le gambe e sale la rampa delle scale in pietra, salutando al volo la vecchia vicina di pianerottolo che, come sempre, a quell’ora è occupata ad annaffiare le piante di tutta la palazzina. Piano dieci: il suo. Sta per infilare le chiavi nella toppa quando nota, sotto la porta blindata, l’ennesima lettera comunale. La apre con foga e scopre che si tratta di una tassa sulla fertilità scaduta e che, in quanto omega senza legami, gli spetterebbe versare a meno che non dimostri di essere gravido da almeno due mesi. «Merda!» Digrigna i denti e affonda la chiave nel buco della serratura come se ci stesse piantando un coltello. Cazzo di razzisti, troverò un modo per pagare anche questa! Se lo promette per orgoglio, ma sa bene che non sarà facile recuperare altri risparmi entro la fine del mese. Non sarà facile, ma ci riuscirà. Farà fronte anche a questa nuova seccatura, si ripromette. Lancia gli stivali vicino alla scarpiera, uno scaffale ricavato dalla cavità di una parete del corridoio, e si trascina scalzo verso la zona giorno del piccolo appartamento. Apre il frigo, in cerca di qualcosa di commestibile da mettere sotto i denti senza troppi sforzi, dal momento che cucinare, dopo dieci ore di un turno massacrante al magazzino, è fuori discussione. È davvero distrutto; gli occhi sono così arrossati dalla polvere che vede doppio. Ma è a casa, almeno. Una casa che può considerare il suo rifugio dal mondo, un luogo tutto per sé. Beh, quasi. Dei passi alle spalle lo avvisano di non essere solo. Si volta sorridente, specchiandosi in un paio di occhi neri e profondi così simili ai suoi, ma più acerbi. Il ragazzino di fronte a lui prende una mela dalla cesta sul ripiano del cucinino e la morde con voracità. «Avevi detto che non saresti tornato presto» lo rimbecca David. Quello, per tutta risposta, gli passa la mela al volo. «Anche tu» risponde e, indifferente, si spinge una lunga ciocca di capelli rossi dietro l’orecchio. «Meglio così» borbotta David, dando a sua volta un morso. «Zack, domani hai un’interrogazione di storia, se non sbaglio. Hai da recuperare una grave insufficienza: sarebbe meglio che andassi a letto e riposassi per bene…» Sul momento, il ragazzino lo guarda come se volesse fulminarlo. Ma poi, la bocca ancora piena si allarga in un sorriso complice e annuisce. «Certo. Non devi preoccuparti, papà.»

L’estratto

Il sospiro affranto di Zack soppesa il suo discorso, indeciso se crederci o meno. Scandisce una brezza che segna, nella coscienza di entrambi, l’inizio della tempesta perfetta. «Non mi perdonerò mai per averti incasinato la vita, papà.» Abbassa il capo, mentre confessa. «Da che io ricordi ti ho visto sempre forte, combattivo, un omega che sa vivere da alpha. Credevo fossi invincibile perché per me, per il mio bene, ti sei sempre sbattuto come una bestia, affinché non mi mancasse niente. Hai fatto di tutto per darmi una vita semplice. A un figlio indesiderato, che invece di esserti grato per non averlo gettato via, ti ha ferito e deluso.» Un’ondata di panico impedisce a David di mantenere l’apparenza; non ce la fa più a restare lì, seduto com’è rimasto finora su quella sedia, armato di quel sorriso finto che adesso vorrebbe strapparsi via col coltello, da quanto lo inorridisce. Che cosa? Cosa ha detto, che cazzo ha detto Zack? Io, io non ho capito! Io non… No. No! «No!» Grida, David. In piedi, col respiro mozzo in una gola fatta di spilli e gli occhi fuori dalle orbite torreggia sul ragazzo che, terrorizzato dal suo scatto felino, a malapena osa fiatare. Un no arrabbiato è la sola parola che gli riesce di dire sul momento, l’unica arma a disposizione per combattere un pensiero distorto che, chissà da quanto, Zack sta alimentando nella testa. E soprattutto perché. Perché mai, si chiede David, suo figlio è arrivato a credere a simili oscenità, quando è stato amato da sempre ed è stato cresciuto con convinzione e orgoglio, senza il bisogno di nessuno che non sia stato il padre, senza il bisogno di niente oltre al cuore del devoto genitore? Perché ha dovuto ascoltare dalla sua bocca una menzogna tanto deleteria, se la verità sull’amore che li unisce gli è sempre stata messa davanti agli occhi, ogni giorno? Più ci pensa e più il batticuore gli infuria nel petto. Sarebbe esploso, se non fosse arrivato un miagolio da quella stessa bocca al veleno. «Mi dispiace averti incasinato la vita» dice. E David, stremato, per poco non crolla in ginocchio. «Non dirlo mai più» sibila. «Per favore, fa troppo male.» Abbassa il capo, implorante. Non vuole che Zack creda sia semplicemente arrabbiato, o amareggiato. No, sbaglierebbe ancora. Perché per David il non essere compreso da chi ha messo al mondo è il dolore più grande che possa provare, un dolore che singhiozza in una dichiarazione d’amore, disperata quanto reale. «Non è vero che non ti ho voluto, ti sei convinto di una gigantesca cazzata! Io ti ho desiderato da sempre! Per averti con me ho lottato contro tutto il mondo ed è successo che quel bastardo mi ha voltato le spalle! Ma sai che me ne fregava? Che me ne facevo di un mondo di merda, se tanto poi lo avresti sostituito al meglio tu?» La voce si incrina, per cui deve fermarsi. Ma un lungo respiro dopo si sente così pronto da sollevare la testa e cercare suo figlio occhi negli occhi perché capisca davvero, perché solo così non è possibile mentirsi. «Farti nascere non è stato affatto un errore! Come potrebbe essere uno sbaglio mio figlio, il mio tutto? Non devi pensarlo mai, chiaro? Anche se ci urliamo addosso, anche se non ci parliamo per mesi, non hai il permesso di sentirti un errore! Perché tu sei tutto quello che ho, sei tutto ciò di cui ho bisogno per andare avanti e non accetto che pensi il contrario!» «Scusa, papà! Scusami! Ti voglio bene!» Lacrime di pace bagnano il viso di Zack, confessandogli sincero affetto. La stanza si veste del suo pianto e si ovatta dentro a un abbraccio che li unisce fin nello spirito. Chi è ad essersi gettato per primo sull’altro, nessuno dei due ha la certezza di saperlo. Forse le braccia le hanno aperte insieme, come un volo in perfetta sintonia. Mai più distanziati da muri di parole dette o non dette. Mai più silenzi lunghi giorni che seppelliscono il cuore sotto il peso del rancore. David se lo ripromette dal profondo del cuore, stretto forte a suo figlio.

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