“Il Kamikaze di Cellophane” di Ferdinando Salamino

***La storia***

Un uomo legato a un letto, imbavagliato e ferito, un altro armato di un vecchio rasoio da barbiere, pronto a compiere una vendetta efferata. Cosa può trasformare un ragazzino mite e amante dei libri in uno spietato assassino? Per scoprirlo, dobbiamo addentrarci nelle spire di una Milano “aliena e ostile” e incontrarvi il protagonista, Michele Sabella. Cresciuto accanto a una madre fragile e a un padre violento, Michele racconta in prima persona l’insorgere della psicosi e il conseguente ricovero nell’istituto psichiatrico che egli chiama Escape Room. Tra quelle mura si innamora di Elena, ventunenne anoressica, “la mia dea di ossa.” Quando, pochi giorni dopo la dimissione dall’istituto, la ragazza tenta il suicidio, Michele capisce che qualcun altro, qualcuno di insospettabile, la sta spingendo verso la morte, e decide di indagare. Guidato dai propri “demoni di cellophane”, voci che gli affollano la mente suggerendogli intuizioni illogiche eppure quasi sempre esatte, Michele elude la coltre di silenzi e bugie che circonda la ragazza e giunge alla più disturbante delle verità.

***L’Autore***

Ferdinando Salamino è nato nel 1971. Laureato in Psicologia Clinica a Torino, la sua vita si divide tra Milano, dove è nato, e il Regno Unito, dove esercita come psicoterapeuta e insegna Psicologia all’Università di Northampton. “Il Kamikaze di Cellophane” è il suo primo romanzo, inizialmente pubblicato con Prospero, nel 2019, e ora entrato a far parte della collana Ombre di Golem Edizioni. Il suo racconto breve “Sangue Bianco” compare nell’antologia “Il Tallone di Achille’: curata da Massimo Tallone (Golem Edizioni). Nel gennaio 2020 vede la luce il suo secondo romanzo, “Il Margine della Notte” (Golem Edizioni).

***La Recensione***

Eccoci, devo ammettere che sono giorni che rifletto su cosa voglio mostrarvi di questo primo libro dell’autore. Anzitutto mettiamo due paletti: questa non sarà una recensione ordinaria, perché vi dirò come ho vissuto io questo libro e ve lo farò vedere. Poi starà a voi decidere cosa questo libro è per voi e cosa ci vedete dentro, anche tramite gli estratti che aggiungerò in questa piccola critica letteraria. Ma se volete leggere una verità, ve lo scrivo ci metto la faccia: un libro che si fa leggere due volte da me è veramente da comprare. Buona lettura!

Per quelli come me arriva sempre il giorno. Quello in cui uccidi o ti fai ammazzare, o entrambe le cose.
Perché alla fine è tutta una questione di impulsi, capite?
Di impulsi e di controllo.

Le prime righe di questo libro contengono tutto il libro stesso. Nell’incedere del ritmo, delle parole e dei significati riuscite a vederlo il toro che entra nell’arena con tutta la sua potenza? Ecco, il nostro protagonista è un animale costretto ad arrabbiarsi, che tira fuori tutte le sue risorse al fine di proteggere sé stesso, poi gli altri da sé, infine ciò che ama, l’amore della sua vita, Elena. Una evoluzione del personaggio atipica e anticonformista. Un protagonista che viene presentato come un codardo, ma che in realtà ha molto più che il coraggio di essere l’eroe di qualcuno che sta aspettando.

Non avevo mai ucciso prima di stanotte e, se non stessi per morire io stesso, credo lo farei ancora, per la magia dell’istante conclusivo, quando capisci di aver esaurito i trucchi, bruciato l’ultima carta. Smetti di lottare e ti senti pervadere da una strana calma, a volte persino euforia.

Ti spegni in un fiorire di luci abbaglianti, cori di angeli e persone amate che chiamano il tuo nome e tendono la ma-no.
Non c’è niente di mistico, sapete? Niente di spirituale. Il cervello realizza che non c’è più nulla da fare e produce be-ta-endorfine per prepararti alla resa. Muori annegato nelle tue stesse droghe, convinto che tutto andrà per il meglio, mentre la verità è che andrà e basta.
Allucinazioni misericordiose, inganni neurochimici.
Ce ne andiamo con le palpebre socchiuse e una parola di perdono sulle labbra, per fare bella figura in quel Paradiso dove crediamo di essere attesi; oppure guardando il cielo, per portare con noi la bellezza del mondo.
Accettiamo di essere vittime e lasciamo questo mondo con occhi languidi, acquosi.
Quasi tutti noi.
L’uomo di fronte a me appartiene a una razza diversa.
Quelli come lui non si arrendono, non cercano la pace, né la concedono.

Ed eccoci, il protagonista graffiante di questa storia sta per uccidere qualcuno, un uomo che lo ha esasperato e nella mente si affollano una serie di domande: chi dei due è veramente cattivo? Come ci si è arrivati a tutto questo? Ho percepito questo inizio storia come il grip che tiene inchiodate le gomme a terra in modo saldo, affidabile e ruvido. La compenetrazione tra il bene e il male e le motivazioni dell’uno e dell’altro in contrasto sono subito evidenti. Ho visto due personaggi forti, padroni del loro piccolo regno e delle vite ivi contenute.

La pellicola poi si riavvolge quindi, e ci mostra dove l’equilibrio si è spezzato. L’effetto successivo sarà un Domino che magistralmente guida il movimento fluido di causa effetto. Ogni evento successivo si snoda con un unico movente: la compenetrazione. I personaggi e la loro ambivalenza, l’ambiente, le ragioni di contrasto emotivo e fisico, chiare e velate, vengono pennellati in modo compatto e millimetrico.

… e la porta socchiusa oltre il quale c’è la soluzione rimane celata… Con la stessa normalità di un foglio mosso pigramente da un ventilatore dozzinale d’estate.


Resto fermo, in mezzo al vicolo deserto, mentre un acquazzone tiepido e sporco solleva cattivi odori dai bidoni dell’immondizia schierati sui due lati del marciapiede.
Aspetto.
“Michele, sei tu?”
“Mi serve che tu mi faccia un favore.”
Le parole mi escono a sputi, secche e gracchianti a causa dell’adrenalina.
Sento gli strati di cellophane avvilupparsi attorno al cuore, spire di serpente che soffocano la coscienza e la nascondono alla vista.
“Che ti serve?”
La voce all’altro capo del filo è esitante, preoccupata.
“Devo uccidere qualcuno.”
Silenzio.
“Mi hai sentito?”
“Chi devi uccidere?”
“Non ne sono ancora sicuro. Domani lo saprò.”
“Ti ascolti? Dici cose senza senso.”
Gli racconto tutto. Di lei, del nemico invisibile, della porta chiusa e del suo contenuto.
Sono il kamikaze in picchiata sulla portaerei. La mia estinzione, l’annichilimento del nemico, sigillati in un unico patto con un diavolo senza nome.
“Allora, mi aiuti o no?”
“Tu sei pazzo, Michele. Io non ammazzo nessuno.”
Potessi soltanto impazzire, lasciare che la verità si dissolva nel crollo delle sinapsi, sarebbe facile.
Persino bello.
“Non tu. Io uccido. Tu mi servi per dopo.”
Lo sento ansimare all’altro capo del filo, mentre l’idea lo seduce.
È bello, l’omicidio, ha una grazia feroce. Nessuno di voi ucciderebbe qualcuno, ma tutti vi fermereste a guardare mentre accade.
Fissereste ipnotizzati la lama affondare nella carne fino a lambire il cuore. Penetrarlo, spaccarlo.
Scinderlo.
Non lo fareste, ma lo vorreste vedere.
Non mentite.

L’uso di due trame parallele che non si confondono a meno che l’autore non lo decida, e i flashback all’interno di ognuna di esse sono un puzzle disordinato sul tavolo. L’occhio esita sull’immagine sulla copertina della scatola e non vede veramente dove va quel pezzo finché non è il momento giusto, finché lo scrittore non decide che lo sia, e smette di incantare la tua mente lasciandoti lo spazio per percepire tutto ciò che ha seminato.

Si avvicinò di un altro passo. Gli altri due rimasero fermi dov’erano. A quanto pare non erano ritenuti necessari, per disporre di un frocetto come me.
Mi mossi anch’io, facendo un lento passo in avanti. Eravamo a meno di tre metri. Era il momento.
Estrassi il cutter a lama retrattile dalla tasca del giubbotto.
L’impugnatura giallo limone era buffa, ma non rise nessuno.
Esercitai una pressione col pollice e il filo di metallo fuoriuscì dalla guardia, con teatrale lentezza.
“Cosa cazzo pensi di farci, con quello?” disse Squalo in tono canzonatorio, ma si arrestò sul posto e i suoi compari fecero un passo avanti.
“Niente” risposi, e tagliai.
Con la mano sinistra portai all’indietro il ciuffo che avevo davanti agli occhi, mentre la destra incrociava dal lato mancino, aprendo uno squarcio orizzontale lungo la fronte, appena sotto l’attaccatura.
La lama obliqua incise la pelle e la sentii flettersi contro le ossa craniche, ma non mi fermai. Centimetro dopo centimetro, si fece strada da una tempia all’altra.
Non avvertii dolore, o forse non lo seppi riconoscere.
Non ero vivo, non ero più nemmeno carne.
Ero cellophane che si squarciava, rivelando il profondo niente di cui ero fatto.
Faccia da Squalo mi guardò attonito e la piccola folla si zittì. Potevo quasi udirli trattenere il fiato.
Cominciai a ridere, mentre il sangue mi colava sugli occhi, appannandomi la vista.
“It’s Christmas timeeeee, there’s no need to be afraiiid” intonai, senza smettere di ridere. Tagliai ancora, questa volta in verticale, dalla tempia sinistra verso lo zigomo. Era così facile, l’atto di lacerare, che mi chiesi perché non ci avessi pensato prima.

Come nasce la capacità di uccidere in una persona? O stessi come in questo caso per non fare del male? Chi di voi lo sa? Chi di voi lo nega? Come nasce e si addestra in automatico la capacità di anestetizzare la figura di sé che in quel momento è inappropriata a essere l’eroe?

Uso un cliché, e chiedo venia all’autore e al suo Michele.

“Non esiste cattivo peggiore di un buono che diventa cattivo”. Michele era un ragazzino che se ne stava per i fatti suoi, il naso affossato nei libri a sognare, e quando gli sono stati tolti, è stato costretto a guardare tutto ciò che non poteva affrontare.

Lo ha fatto in modo non convenzionale, perché in realtà lui è “fuori taglia”, troppo secco e fragile, troppo non avvezzo alla crudezza e stupidità del mondo reale. Ma è la persona speciale di Elena, un folle autolesionista che disegna in modo indelebile sulle sue braccia cicatrici che testimoniano il non sentirsi al suo posto, ma anche le cattiverie che riceve e l’amore, la cura che gli vengono negati. Ma tutto ciò lo renderà anche l’eroe della sua Elena, che davvero non può risolvere da sola quella situazione. E i tagli cambiano motivo. Avvengono perché ama disperatamente mentre viene accettato interamente, così com’è.

Tagliai con lentezza dalla clavicola, con una traiettoria obliqua che si fermò a pochi millimetri dall’areola. La guardai negli occhi mentre, attonita e con la bocca spalancata, contemplava quell’opera di automutilazione.
Il sangue scese dal petto lungo l’addome e impregnò i peli pubici. Posai il coltello e mi avvicinai. Le carezzai i capelli e la strinsi a me, imbrattandola della mia materia scura.
“Fammi male.”
Elena posò le labbra sullo squarcio aperto dal coltello.
Percorse tutta l’incisione, quasi volesse sigillare la faglia coi suoi baci.
Catturai le sue labbra insanguinate con le mie e la strinsi a me, più forte che potevo.
Lei mi guardò con le sue schegge di luna e mi senti Ulisse di ritorno a Itaca.
“Anche io ti amo” disse.
Smisi coi gruppi il giorno seguente.
Elena non ci andava più e non trovavo alcun motivo per frequentarli.

E qui, mi fermo. Perché leggere la storia di Michele? Perché il suo dolore scende lento e di un rosso scuso come il sangue senza ossigeno. Perché è una storia che può essere letta a più livelli e prende un pezzo di chiunque la legga. Poiché sono convinta che nessuno di voi possa affermare con certezza assoluta di non aver pensato di fare ciò che lui trova il coraggio di vivere e di farci vivere.

Buona domenica writers❤️

Leggete questo libro e datemi le vostre emozioni nei commenti ❤️

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *